Specchio delle mie brame, chi è la più seguita del reame?

Sono caduta di nuovo nel buco nero della social proof. Sono ruzzolata per ere ed ere (ciao Taylor, sono nella mia Reputation Era, credo) fino a finire in una maratonda infinita di numeri che non avevano più senso. La sensazione di straniamento che la maggior parte di noi (freelance, imprenditori, utenti, clienti e Pinco Panco e Panco Pinco al seguito) proviamo ogni volta che dobbiamo creare contenuti per il business che abbiamo in mente ma che non riusciamo mai a mettere a terra è molto più comune di quello che si crede.

Nessuno ci sta campendo più niente ‘co st’algoritmo!

Con quale frequenza pubblicare? 

Ma quanti post alla settimana devo pubblicare? E ai reel nessuno ci pensa? I reeel. 

Già ti vedo, correre per i corridoi della mente chiedendoti se mettendo una virgola in più nella descrizione del tuo profilo IG otterrai due follower e mezzo che faccio lascio in più. Anche il salumiere – ciao Tony – oggi ha il profilososcial e ti fa concorrenza quando pubblichi.

Provo a fare una ricerca “Quanti post al giorno vengono pubblicati?” e Google mi riempie la pancia la testa e gli occhi con una serp degna del più niubbo dei social media manager. 

Io volevo solo sapere quanti post al giorno vengono pubblicati contemporaneamente ogni secondo di ogni ora di ogni giorno sulla terra e invece tutti che chiedono (e rispondono) alla domanda delle domande: “quanti contenuti devo pubblicare ogni giorno?”.

Niente, non mi permetto più.

Siamo ossessionati dalla creazione dei contenuti, ci hai fatto caso? E dai risultati come like, commenti e richieste. Anzi, pretendiamo che ci siano. 

E questo accade perché esiste la social proof e il fatto che confondiamo i numeri con le metriche. In questo articolo vorrei parlarti di questi tre concetti dimenticati da Dio e da chi abita i social e deve sellare un cavallo chiamato vendita (che tremendo gioco di parole, mon dié, triste quasi quanto chi usa ancora la PNL: ho un particolare problema con questa cosa, magari un giorno ci scrivo un po’ su ma focus Fra, focus).

Social proof, una sconosciuta di nome riprova sociale 

Sai che prima di pubblicare qualunque contenuto, uso Google Drive con le sottolineature per arrivare ad ottenere un gioco di colori che mi aiuta a focalizzarmi meglio? 

Già, sono neurodivergente e questa è una tecnica che utilizzo da quando sono a scuola, infatti sotto i fogli bianchi che utilizzavo per raccogliere appunti e fare riassunti all’università infilavo sempre una spilletta a righe e scrivevo seguendo quella traccia, altrimenti il risultato erano montagne russe di parole storte. Eppure non sapevo che il mio cervello fosse diverso dalla norma, ero solo considerata weird

In realtà, sono sempre stata una vera nerd con tutti i ciondolini che la norma vuole: fumetti, cosplay, giochi di ruolo e così via. Come tanti loser (povera, piccola, dolce Cora, ma vafancul’) degli anni duemila, ero fissata, pignola, perfezionista e collezionatrice di cose che dovevano andare esattamente come dicevo io, avevo la testa tra le nuvole, poco contatto con la realtà e a scuola un trimestre ero eccezionalmente brava e quello dopo “signora, dovrebbe ritirarla”. 

Oggi ti verrebbe in mente un pensiero abbastanza lecito: povera cara, ha un disturbo dell’attenzione

E per i più avanzati: oh, Cora anche tu con l’ADHD

ANCHE TU. 

Mo’ si porta, basta scorrere un po’ le stories di Instagram di qualche psicologo più navigato o i per te di Tik Tok e ogni creator sembra che soffra di quella che è stata definita la malattia post pandemia.

Mica è utile tutto il lavoro di Emmanuel Casto (che ha fatto un gioco da tavolo divertentissimo chiamato Squillo!) sulla neurodivergenza. Lui, che cantava capolavori come “Zero Carboidrati” o “Insegnami la vita”, ora si professa addirittura autistico. Tanto ora sono tutti autistici, eccerto. 

Certo, perché se è stato dichiarato che è autistica una persona su 77 e che oggi più che mai l’autismo viene diagnosticato in tempo è un trend. Siamo tutti nello spettro autistico perché abbiamo visto un video su TikTok e ne abbiamo riconosciuto i sintomi.

No, fortunatamente per chi è neurotipico (il contrario di neurodivergente, ndr) è solo più facile cadere nella trappola della social proof. E lo spiega benissimo Gustav Le Bon con la sua teoria del gregge

Un passo alla volta però perché altrimenti mi vai in overloading e in overthinking e ti freezi. Umorismo da ADHD 😂. 

Cominciamo.

Non cadere nella tana del Bianconiglio pure te!

Le nostre decisioni non sono le nostre. 

In che senso? 

Nel senso che il processo che sta dietro a ciò che scegliamo, come saggiamente ricorda Simona Ruffino nel suo Neuromarketing Etico, non è poi così semplice da spiegare. Sono coinvolti numerosi processi cognitivi ed emozionali, tra cui la riprova sociale.

Come Alice che segue il Bianconiglio, spesso le nostre decisioni sono guidate da curiosità e illusioni. Seguiamo quelle che da fuori sembrano le migliori scelte che possiamo fare in quel momento solo perché quella decisione è condivisa e “confermata” dai numeri di persone che seguiamo o con le quali interagiamo.

Seguiamo sogni, ossessioni e cerchiamo l’autenticità ma come Alice che cambia dimensione quando cade nella tana del Bianconiglio, l’originalità di cui siamo convinti sparisce e ci lascia smarriti in un labirinto che grida alla conferma della rete sociale che ci circonda e dai cui, vuoi o non vuoi, dipendiamo.

Siamo attratti dai numeri e spesso ci fermiamo lì, come Cristo a Eboli. Non riusciamo a farle maturare in metriche, lasciandoci conquistare dalle vanity metrics, puri e semplici elenchi di nomi che hanno messo mi piace. Un té delle cinque che non ti disseta se hai un obiettivo, acqua che non toglie la sete, numeri che non nutrono quella che viene chiamata crescita. Avrei da ridire (ma che novità!) anche qui ma magari ne parliamo su Instagram la prossima settimana. 

Come distinguere tra le due, tra metriche e numeri da Narciso? 

Le metriche autentiche misurano il progresso verso obiettivi concreti, mentre le vanity metrics gonfiano l’ego senza fornire informazioni utili. Non lasciarti sedurre dalle apparenze.

Scegli la tua strada e arriverai lontano

Inseguire la riprova sociale è fare la brutta fine di Alice e ruzzolare in un mondo che non soddisfa ma ti fa solo sfiorare l’illusione di raggiungere l’obiettivo. Certo, tutta quella montagna di numeri è invitante ma c’è davvero del té nelle tazzine del Cappellaio Matto? Qualcuno sostiene che nel 97% dei casi i numeri non corrispondono alla qualità di quello che promettono.

Lo so, la social proof ti culla, ti senti protetto ed è una scorciatoia che tutti vorremmo prendere. Un sentiero facile (ah, la mia black list si è appena infiammata) da percorrere. Perché non imboccarlo?

Perché la ricerca dell’ottenimento della riprova sociale 

  • Ci spinge a dire “mi piace” a contenuti che non ci convincono poi così tanto, ad acquistare corsi che poi non metteremo mai in pratica (qui ne parla Roberta Creazzo) e a seguire il gregge a colpi di like, cuori, commenti e follow. 
  • Ci costringe a soffrire di ansia da appartenenza ovvero una variante del ceppo della FOMO (paura di restare esclusi da qualcosa o da un contesto, letteralmente fear of missing out). Questa genera frustrazione, nervoso e una rabbia sorda che ci ingabbia portandoci a sentire una pressione sociale costante molto forte
  • Ci fa vivere sensazioni non reali, illusorie e che spariscono anche rapidamente. La realtà si deforma, promettendoci mondi immaginifici che non esistono nella realtà (la caduta dell’influencer marketing che ultimamente stai notanto NON è una coincidenza) e sentiamo le certezze fuggire via come acqua corrente ma non illumina il buio, anzi lo rende più pesto.
  • Siamo continuamente alla ricerca dell’approvazione degli altri. Un esempio? Io, per certificare la bontà del mio operato da brave ape operaia dei contenuti, ho scritto a due persone più volte durante la giornata ricordandogli che stavo facendo un grandissimo lavoro, che mi sentivo carica a molla e così via. Più volte ho avuto la tentazione di riprendere a pubblicare sui social nel corso della giornata per certificare che stessi effettivamente lavorando e non fossi improduttiva. Ecco, la riprova sociale fa anche questo. Ne parla Elisa Furiglio nel suo nuovo progetto. 
  • Arriviamo a misurare il nostro valore in base a numeri fini a se stessi e superficiali. Il vero valore, la metrica di cui ci dovrebbe importare è quello delle volte che generiamo un’emozione perché, anche se l’obiettivo è vendere “banalmente” è sempre l’emozione che muove il mondo. 

Gli effetti della riprova sociale sulla gente (semi-cit.) non fa altro che farmi incazzare ancora di più. Perché non ci fidiamo più del nostro istinto, abbiamo scelto di non impegnarci a trovare la nostra (vera) strada ma di percorrere un sentiero già scritto. Abbiamo smesso di sorprenderci, me compresa. Tutto sembra diventato piatto per quanto raccontiamo di essere unici, originali, autentici. La verità è che siamo la copia di qualcun’altro. Tempo fa mi piaceva dire che la vera innovazione non sta più nel prodotto ma nel processo. Qualche anno dopo, mi sono ricreduta e ho modificato la mia entusiasta auto-citazione in sta nel come racconti le cose. Ora pare quasi che la vera innovazione sia nel copiare-incollare-rimontare preset di pezzi di varie identità in una nuova e metterci sopra la nostra faccia. E spoiler, io ero una fan del branding in generale, e del personal branding in particolare. Ora è raro vedere qualche guizzo di pura creatività. Eppure ci sono, ne sono sicura. 

Non lamentarti solo, raccontaci di ‘sto gregge.  

Trova il tuo paese delle meraviglie al di là di tutto

Come Alice impara a fidarsi del proprio istinto e giudizio, ognuno di noi dovrebbe trovare la propria strada al di là della riprova sociale. Spoiler: nella società di oggi è (quasi) impossibile. Non ti ho mai raccontato cazzate su questo spazio digitale e di certo non comincerò a farlo oggi. 

Passata la fase dell’essere produttivi a tutti i costi, quella del “mettici la faccia così vendi”, dopo questo-giuro-che-è-davvero-l’anno dei-video (2024, ce l’abbiamo fatta ad azzeccare il trend), quella ancora del emoziona per vendere, siamo ora in una fase della social proof in cui la salute mentale è al centro e fottersene degli obiettivi/prenditi una pausa, rallenta, non correre fa a pugni con coach e psicologi che ti spiegano come superare l’ansia in quattro super mosse per fartela venire dopo 4 minuti netti dicendoti che se non guadagni almento 10 mila euro al mese sei palesemente un coglione e stai perdendo il treno più importante della tua vita però scrivi ora in DM “Marianna” così prenoti l’ultima call con me che poi ne ho solo altre 1298029 a disposizione. 

Tecniche da mercatino americano che funzionano su un modello self-made-man ma non in una Italia che è  basata sulla raccomandescìon vecchio stampo: “mio cugino lo fa gratis”, anzi quasi perché pure il cugino è diventato furbo e si fa pagare.

uindi, se pensi di innovare il campo con la tua consulenza extra ricorda che in realtà non stai facendo altro che innescare la più classica delle leve del marketing, la scarsità. Ma lo fanno tutti, ok. E qual è il problema? Il vero senso del discorso è che ok, tutti lo fanno ma a te frega qualcosa davvero? 

Sei tu, cara Alice, che fai la differenza

Il problema vero è che basta scrivere in BIO consulente per sentirsi autorizzati ad esserlo, un corso e chi – e mi ci metto io per prima in stile rosycona bitch –  come me ha speso 50k in formazione, tempo, risorse e vita ad ottenere le basi per un lavoro che 14-15 anni fa nemmeno esisteva, come si dice in napoletano accusa, ovvero rosica di brutto. Perché pensiamo che qualcuno ci derubi di uno status che la laurea in marketing, in economia o comunicazione ci spetterebbe per diritto o, comunque, il fatto di “averlo fatto prima degli altri” (ndr sindrome della prima donna o del super macho? Psicologi all’ascolto, spiegate! 😂) ci dia qualche diritto davanti a persone che, invece, semplicemente sfruttano meglio di noi le competenze che oggi sono a portata di click

Vincerebbe il più intraprendente o chi comunque si mette in gioco rispetto a quello che ha mille idee ma restano sul fondo dell’hard disk. 

Dura da accettare? Non hai idea di quanto, caro Lettore.

Come quando fai uno sbaglio e poi, per il classico effetto domino, tutto va a rotoloni Regina. Ma perché 

  • Il complesso del “pioniere”: siamo sicuri e certi che il percorso di studi o la nostra esperienza pregressa ci rendano automaticamente meritevoli di un certo riconoscimento o posizione. Quando vediamo altri raggiungere risultati simili o superiori, tragedia. 
  • La sindrome dell'”impostore”: devo aggiungere davvero qualcosa? 
  • La cultura della competizione: anche qui come sopra. 
  • La paura del cambiamento: resistere è inutile, il mondo cambia e non non possiamo farci niente. 

Grazie a Gemini Advaced per aver individuato il 50% delle cause della mia seduta psicologica settimanale prima della professionista che mi segue 🤡. 

Quindi, qualunque sia il percorso che hai scelto, bilancia l’entusiasmo con il mettercela tutta perché da social proof a burnout è un attimo. E non scherzo.

C’era Gustav Le Bon e l’effetto gregge

Oltre all’elenco di cause che ci fanno diventare rosiconi se non sappiamo cogliere i cambiamenti, la social proof ci mette su il carico da novanta causato dall’effetto gregge individuato da Gustav Le Bon. 

Un agglomerato di uomini possiede caratteristiche nuove ben diverse da quelle dei singoli individui che lo compongono […] i sentimenti e le idee di tutte le unità si orientano nella medesima direzione. Si forma così un’anima collettiva.. […] la stessa cosa accade in chimica…’  e questo è possibile perché ‘la parte consapevole dello spirito ha una parte minima rispetto alla vita inconsapevole di esso. ‘Nell’anima collettiva […] i caratteri inconsci predominano’. Perciò ‘le folle non sono in grado di compiere atti che esigano una grande intelligenza’.

Che caratteristiche ha la folla?

–      A) ‘L’individuo in una folla acquista, per il solo fatto del numero, un sentimento di potenza invincibile’ eil senso di responsabilità scompare del tutto’.

–      B) ‘Ogni sentimento, ogni atto è contagioso in una folla […] a tal punto che l’individuo sacrifica molto facilmente il proprio interesse personale all’interesse collettivo’.

–      C) È estremamente suggestionabile. ‘Per il solo fatto di appartenere a una folla, l’uomo scende di parecchi gradini la scala della civiltà’ e mostra ‘facilità a lasciarsi impressionare dalle parole e dalle immagini, a farsi trascinare in atti lesivi dei suoi più evidenti interessi. L’individuo nella folla è un granello di sabbia tra altri granelli di sabbia che il vento solleva a suo piacere’.

Perciò ‘la folla è sempre intellettualmente inferiore all’uomo isolato’.

Direi piuttosto attuale. Applichiamolo a ciò che viviamo online:

Anonimato: dietro uno schermo, spesso in modo anonimo, l’utente si sente un Dio, un leone da tastiera. Siamo potenti, liberi di dire ciò che ci piace, spesso in modo violento ed aggressivo, cosa che – almeno al momento, non si fa nella vita reale. Risultato: diminuzione del senso di responsabilità e aumento dell’impulsività. Che gioia e gaudio.

Contagio: le emozioni, le sensazioni e i trend si diffondono alla velocità della luce e altrettanto rapidamente svaniscono. Ci sono 5 persone arrabbiate? Tu diventerai sei la sesta.

Suggestionabilità: la ricerca spasmodica di approvazione e il desiderio di appartenere a qualcosa ci portsa ad adottare l’idea dominante spesso senza nemmeno farci troppe domande. Tipo tu sei team Cara o Regina? Sempre e solo Red Queen, baby ❤️.

Insicurezza, sopravvivenza e conferma sono i tre motivi per cui scegli di far parte di un gruppo. Te ne parlo meglio qui, nel post dedicato interamente alla Social Proof

La soluzione alla Social Proof?

Semplicemente, non esiste un rimedio alla riprova sociale. 

Il mondo ha bisogno che i contenuti che creiamo alimentino la ruota della riprova sociale e noi abbiamo bisogno di creare contenuti che manifestino risposte a dubbi, domande e so much pain. Nel digitale, poim è davvero facile cadere nella trappola delle vanity metrics, numeri vuoti che sembrano importanti ma non lo sono. Ma non puoi farne a meno, fa parte del gioco che puoi, però, imparare a gestire a tuo vantaggio. 

Come? Le relazioni sono la risposta. Perché un utente è una relazione da coltivare non un numero da raggiungere. Non mi stancherò mai di dirlo. La mia professione si muove attorno a questo concetto, alle persone e nel momento in cui ho smesso è andato tutto a rotoli. Ma sappiamo ruzzolare bene, vero carissimo Lettore? 

Costruiamo relazioni significative, creiamo contenuti di qualità e perseguiamo obiettivi che ci appassionano senza dover lasciare a tutti i costi un segno positivo (o negativo) nel mondo. 

Sei d’accordo? 

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